venerdì 8 maggio 2020

due o tre proposte


Ci ripetiamo da troppi, troppi, giorni sempre le stesse cose.
Con orgoglio (magari mal celata arroganza) penso di ripetere da giorni sempre le stesse cose ragionate, magari sbagliate, ma ragionate.
Altri ripetono da giorni sempre le stesse cose non ragionate (almeno a parer mio).
Poi ci sono quelli che cambiano spesso idea, ma lasciamoli stare per il momento.
Ce li ripetiamo allo sfinimento, ma l’unico risultato è che restano idee sulla carta (in realtà non sulla carta perché sono parole virtuali, ma è un modo di dire troppo bello per rinunciarci).
Il #CoronaVirus ci impone un cambio di prospettive, ci evidenzia i limiti del nostro tempo, ci ha mostrato le nostre debolezze (non solo sanitarie purtroppo).
Un esame di coscienza sarebbe opportuno, un cambio di rotta risulta necessario, nonostante ciò il dibattito non verte su queste cose. La polemica la facciamo dal chiuso delle nostre case, davanti una tastiera (da ben prima della pandemia), su temi accessori rispetto alle urgenze.
Persino il Capo dello Stato ha chiarito che ci aspetta un “dopo guerra” e noi che facciamo? Ci illudiamo che tutto passerà e che i problemi riguarderanno per lo più gli altri.
Allora siccome ripetere le stesse cose è quasi inutile, ma assomiglia molto all’unica cosa che possiamo fare, continuiamo ossessivamente, nella flebile speranza di avere la stessa casa di risonanza di chi ciarla di stampare moneta, di uscire dall’Europa e tutto il resto.
Il “Dopo Guerra”, parole che umilmente mutuo dal Presidente Mattarella, quello dopo la II guerra mondiale, creò le basi per una democrazia nuova, magari imperfetta, ma duratura ed in grado di creare benessere. Il dopo guerra si contraddistinse per scelte chiare, forti, ragionevoli, identitarie.
Lo stato decise bisognava elevare il livello, anzi proprio il tasso, di scolarizzazione del Paese, profondendo enormi risorse e capitali nella scuola. Un figlio aveva la consapevolezza che avrebbe potuto parlare e scrivere meglio del padre.
Lo stato decise che bisognava creare realtà industriali, innovative, in grado di puntare al mercato internazionali passando per la grade inventiva italiana, e gli italiani videro che a fianco a colossi già presenti prima del conflitto nacquero interi distretti, e di colossi (dall’agroalimentare alla meccanica di precisione) ne sorsero a iosa. I figli avrebbero pure potuto lasciare il lavoro agricolo, ma con la prospettiva di lavorare in fabbrica.
Il diritto del lavoro (quindi a favore degli operai) nacque realmente nel dopo guerra, ma contestualmente nacquero i capitani d’impresa e si visse il boom economico: chiaro segno della convivenza tra diritti e benessere, quando il benessere parte dal basso.
Come pensiamo di affrontare oggi il “nostro dopo guerra”?
Lasciando aprire attività che tra sei mesi chiuderanno comunque perché inadatte al nuovo mondo?
Lasciando immutato il sistema produttivo sperano che i più forti siano da traino ai più deboli (sperando di avere meno perdite possibili)?
No, non può funzionare. Non c’entra l’Europa, l’Euro, ed il fatto che non c’entrino è un problema per tutti noi, perché quest’Europa nonostante gli sforzi non riesce ad essere incisiva.
Allora butto li alcune proposte facili, su cui discutere, che non hanno alcuna pretesa di esaustività:
-          Commissione nazionale “chiusura attività”: ammortizzatori sociali per un anno per chi (rientrando in alcuni parametri) deciderà di chiudere la propria attività;
-          Riduzione dell’orario del lavoro: i datori di lavoro hanno diritto e dovere di chiedere il meglio dai propri lavoratori, non di chiedere che scordino famiglie e vita privata. Bisogna ridurre l’orario di lavoro (per chi è soggetto a turni estenuanti) e far rispettare invece chi, pur in presenza di un CCNL di favore, lavora troppe ore senza che venga considerato straordinario;
-          Incentivi per riconvertire l’attività: chi ha un’attività e può provare a reinventarsi deve avere un aiuto per farlo (e questi si che devono essere soldi a fondo perduto) ma con l’obbiettivo di mantenere (od al massimo di aumentarla) nel successivo triennio l’intera forza lavoro;
-          Pensionamento di massa nella pubblica amministrazione: il pubblico non deve diventare privato, ma deve essere un riferimento di massimizzazione dei processi, di operosità e sforzo per il bene comune. Giovani e nuove tecnologie sono uno snodo necessario;
-          Centralizzazione della Sanità Pubblica: le regioni hanno fallito nella gestione della Sanità, le carenze del SUD non si sono colmate, e le furberie del NORD non sono diminuite. Lo Stato deve tornare a gestire la sanità che è un bene comune (come la Pandemia ci ha insegnato) da Palermo a Mestre;
-          Aumentare il numero di insegnanti: la scuola si fa in classe e li dovremo tornare. Con uno scopo chiaro e definito nella buona EDUCAZIONE. Mai più classi strapiene o classi ghetto. Mai più carenza di personale nella scuola.
Se vi sembrano tutte cose impossibili, o peggio tutte cose che non hanno respiro economico e non guardano alla crescita, guardate cosa è successo nella storia tutte le volte che lo Stato ha fatto le cose per bene, tutte le volte che lo Stato ha funzionato. Gli imprenditori non si creano in laboratorio ma proliferano nel benessere ed in condizioni di Stato Sociale efficienti.



Ivano Asaro



mercoledì 29 aprile 2020

Quella contro il #CoronaVirus è una guerra

Ogni guerra è sempre cominciata con la convinzione di celerità, minimo danno, massima resa.
Ogni singola guerra ha smentito questa convinzione.
Quella contro il #CoronaVirus è una guerra, in cui non possiamo dire a priori quando finirà, non possiamo dire a priori chi "non sarà toccato", non possiamo dire a priori che ne usciremo rinforzati.
Sono solidale con chi oltre alla reclusione (che comincia purtroppo a far vedere tutti i suoi sintomi sociali), oltre alla difficoltà logistica, oltre alla distanza con gli affetti, oltre alle difficoltà di salute pregresse, si scontra con la FAME.
Il popolo rischia veramente di avere FAME, e la fame ci rende cinici, distaccati e purtroppo meschini.
Non è lamentandoci delle misure che ne usciremo, ma è immaginando, ognuno di noi, ognuno con le sue competenze, un mondo nuovo che ce la faremo.
Sono speranzoso perché devo esserlo, perché dobbiamo esserlo.


Sono operoso perché devo esserlo, perché dobbiamo esserlo.














Ivano Asaro

giovedì 19 marzo 2020

❌ Non si può avere pietà


Stiamo vivendo, con buon margine di certezza, il periodo più complesso della nostra vita.
Sicuramente per molti di noi vale la frase:” non eravamo preparati”.

Non lo eravamo per niente effettivamente, occupati a friggerci in una padella sociale piena di falsi miti, falsi valori, falsi noi.
Il #coronavirus ci mette davanti la nostra vita nelle ore che passiamo nel silenzio, apparentemente riempito dal chiasso dei media. Scorgiamo i pilastri, quelli veri, sentiamo ribollire il nostro vero io.
Siamo insomma in una fase inaspettata di grande analisi, e non è quella che si fa col tampone.

Usciremo, quando usciremo, ma ne usciremo statene certi, molto diversi da chi eravamo fino a 20 giorni fa.
Stiamo combattendo una guerra, una guerra “mondiale”, ed ognuno la sta combattendo, chi nella trincea degli ospedali, chi a casa ad aspettare, al chiuso, buone notizie che per ora non arrivano.

Saremo come dopo una guerra, con molte debolezze, con molte sofferenze, ma magari anche con molta voglia di prendere a morsi la vita, nella consapevolezza diffusa che basta un bacillo in un qualsiasi angolo del mondo per cambiare l’intero destino.

Vedremo tutto ciò e sarà, anche, affascinante.

Lasciatemi dire una cosa dura.
Come in ogni guerra ci sono i topi, gli egoisti, i ributtanti delinquenti.
Anche in questa guerra ci sono.
Sono quelle persone che diffondono false notizie, falsissime, per disseminare il caos parteggiando per chissà quale amico straniero.
Sono quelle persone che non rinunciano neanche temporaneamente al culto della propria persona, alla propria vanità, anteponendola al bene comune.
Topi che nella guerra ci sono sempre, ed anche in questa ci sono.
E tali saranno per la storia e tali sono per la mia considerazione: Topi.

Ivano Asaro






Coronavirus
Italia
Guerra

giovedì 12 marzo 2020

Caro Virus

Caro Virus, 

è con rispetto che ti scrivo. 
Lo ammetto, ci stai facendo paura. 
Tanta. 
Forse non ne abbiamo mai provata collettivamente così tanta da quando i nostri genitori salirono per la prima volta su una 500. 
Le immagini che ci arrivano da più parti della nostra penisola ci fanno letteralmente tremare. 
Milano deserta, Roma deserta, autostrade vuote, musei chiusi, ristoranti vuoti. 
Ci siamo fermati. 
Ci hai fermato caro virus.
Leggiamo parole come smartworking e pensiamo che in fondo non ci sia niente di positivo nello stare segregati in casa. 
Ascoltiamo termini come dpcm ma recepiamo soltanto che le regole sin qui stabilite non sono state sufficienti. 
Eppure caro Virus quello che ci stai facendo non è abbastanza, non c’è possibilità alcuna che tu ci batta.
Non lo so quando, non so neppure come e sinceramente non posso sapere se con certezza ci sarò in quel momento, ma l’Italia ti batterà. Si lo farà.
Caro virus sei venuto da terre lontane, lontanissime, e magari non sai dove sei capitato, quindi, sempre con rispetto, ti spiego dove sei e dove perderai.
Sei in un Paese strano, non ne esiste uno nemmeno paragonabile, minimamente somigliante. 
Una nazione, una lingua, mille dialetti, milioni di talenti.
Un paese, una bandiera, centinaia di sfumature.
Caro Virus da nessun’altra parte al mondo viaggerai da persona a persona come qui, in un catalogo indefinito di opere d’arte, paesaggi, storia e cultura.
Caro Virus è vero: siamo un popolo di “traffichini” ma lo siamo solo quando la storia non ci chiama al nostro posto.
Prova a chiederlo cosa l’Italia ha fatto dopo ogni grande sciagura.
Prova a chiedere come l’Italia si sia rialzata. 
Avremo i nostri difetti, certamente, ma nel complesso siamo eroi, piccoli e grandi.
Alcuni di loro li hai certamente incontrati nei reparti degli ospedali che hai riempito. 
Li con guanti e mascherina i nostri medici ed infermieri ti hanno fatto vedere di che pasta sono fatti. 
Con loro hai gareggiato e molto spesso perso, e quelle singole battaglie che hai vinto sono solo il prologo alla tua sconfitta definitiva.
Caro virus questo paese si è alzato da due guerre, da bombe senza padrone e da guerre civili. 
Questa Italia è rimasta unita e unica mentre il mondo la voleva debole e divisa.
Questa Italia ha cantato di morti, dipinto sorrisi e versato lacrime e sangue. 
Tu virus non lo puoi ancora sapere, ma qui perderai. 
Non lo vedrai ma noi torneremo, magari non tutti, a popolare lunghe tavole con la nostra pizza, la nostra mortadella, il nostro Chianti, i nostri cannoli ed il nostro caffè. 
Tu non lo vedrai ma noi torneremo a tifare, a cucire a vivere quelle strade che ora tu ci neghi.
Tu Caro Virus hai fatto l’errore più grande, affrontarci in quanto italiani, e quello è peggio che cominciare una nuova Campagna di Russia. 
Caro virus canteremo di te, scriveremo di te, racconteremo di te. 
Tu perderai. 

Ivano Asaro




Ivano Asaro 
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