lunedì 29 aprile 2013

Yamaha-Ducati-Yamaha: Rossi, paradiso-inferno andata e ritorno?


Come nelle fiabe più belle, certi amori ritornano, talvolta più forti di prima; altre, come una sbiadita copia di quel che in principio era stato. Di certo, specie nell'immediato, è complesso stabilire di quale ipotesi si tratti. Ed è altrettanto difficile valutare il rinnovato matrimonio tra Yamaha e il pluri-iridato Valentino Rossi.


Dopo la più che opaca esperienza in Ducati, vedremo il Valentino spumeggiante che conoscevamo, o quello non più brillante e competitivo visto con la moto Italiana?
I primi due gran premi non sono riusciti a sciogliere la riserva:


- Gran premio del Qatar; In Virtù di prove non eccezionali , Rossi si ritrova a partire dietro, ma con una rimonta eccezionale riesce a giungere secondo al traguardo. Sembra un ritorno
Gaspare Polizzi
al passato, Valentino semina avversari uno dopo l’altro. Si rivede il pilota di un tempo, aggraziato, che sembra quasi danzare con la moto: per intenderci, quello che senza troppi problemi si metteva dietro piloti del calibro di Gibernau, Biagi, Capirossi.

- Gran premio del Texas; Rossi parte dietro e lì rimane. Non riesce ad esprimersi come vorrebbe, si rivede una moto nervosa, un pilota che sembra non osare, ma accontentarsi di lottare con i mediocri; insomma, si rivede Il Valentino dell’esperienza Ducati.

Il prosieguo della stagione ci darà delle risposte. Non sapremo mai con precisione quanto Valentino Rossi sia stato incapace di adattarsi alla Ducati, o quanto la stessa casa Italiana non sia venuta incontro all'esigenza del pilota. Ma risulta palese che ad uscirne ridimensionati ne siano stati entrambi.

Sicuramente, farebbe piacere rivedere un Rossi al top, se non altro per vedere la nostra bandiera innalzata ancora sulle piste, in giro per il mondo.

Sì, perché il compito spetta ancora al pilota Pesarese, vista la mancanza di piloti Italiani, capaci di lottare per il titolo iridato: anche se delle speranze sembrino arrivare dalle classi della moto 2 e moto 3. Di certo, sarebbe auspicabile da parte della Federazione Italiana Motociclismo un potenziamento dei Vivai, sulla farsa riga del modello spagnolo, che tanto bene sta facendo.


Gaspare Polizzi

Sperando di avere torto: il dissenso armerà il malumore.


In questi giorni ho avuto un fortissimo mal di testa. Sempre in questi giorni, mi sono più volte avvicinato ad una tastiera per scrivere, e devo ammettere che mai nessuna cosa scritta virtualmente, su questo foglio word, mi è piaciuta o parsa intelligente. Consapevole che queste annotazioni non v'interessano neanche lontanamente, evito anche di spiegarvi che il mal di testa mi è passato e che forse è stato utile. Forse quest'ultimo appunto però, e magari mi illudo, vi interessa di più. I testi da me vergati con tasti sempre più usurati, erano tutti rivolti a dare un'opinione personale ed umile di quanto consumato nei palazzi istituzionali, affaire che da solo si riassume in un grande avvenimento: la rielezione di Giorgio Napolitano. Si è tanto discusso circa l'opportunità giuridica, morale e politica di tale scelta, e magari un giorno i nostri figli e nipoti ci chiederanno: <<perché non Rodotà? Perché non Prodi?>> Od ancora più ironicamente ci diranno: <<vi siete tenuti per 25 anni il berlusconismo, la rielezione di Napolitano (storica perché è il primo bis della nostra Repubblica) non è che la costola di un momento storico da cancellare>>. Certo che avrei voluto scrivere di tutto questo, che avrei voluto dire la mia, magari un giorno lo farò. Il mal di testa mi ha però fermato e mi ha fatto perdere quel tempo necessario, che ho impiegato a rendermi conto che ancora una volta, a qualsiasi discorso l'italiano medio presti orecchio, manca sempre una base logica, e cioè che <<bisogna procedere per priorità>>

E' vero, in buona sostanza, che ci si appassiona facilmente alle diatribe “politicanti”, chi del resto non ha tifato per uno dei nomi concorrenti nel palio del Quirinale. Tutto vero, e ve lo dice uno che con la più genuina passione ha fatto le maratone televisive: <<sono stato più io davanti la tv che Mentana su La7>>. 

Poi succede il fatto, quello che ti riporta alla verità, come il sole fu per Icaro

Le mie ali molto più misere erano i social network, strumenti che ti danno l'impressione di potere incidere sul circostante, come se un tweet fosse un voto od un proiettile

Comunque la vediate queste convinzioni si sciolgono di fronte a proiettili e voti veri. 







Da un lato in una calda mattinata romana nasce il governo Letta, quello della grande ammucchiata, quello che potete vedere bene o male, ma che comunque sta la, c'è e ci sarà, che vi piaccia o no; dall'altra parte nella stessa mattinata romana c'è un uomo, uno come tanti, uno che come tanti ha grossi problemi dentro la valigetta e dentro le tasche, che vede il mondo un po' più grigio ogni giorno che passa, e che nella stessa valigetta ha una pistola. Questo signore si chiama Luigi Preiti, ed ha sparato sul serio, ha sparato nella convinzione di colpire chi ha votato sul serio, ma ha colpito dei carabinieri, e qui non ci sono più ne twitter o facebook che tengano.  








Ecco, questa sberla ti riporta alla verità, ti riporta alle immagini di frighi vuoti e case polverose, ti riporta alle tasse scolastiche ed alla tristezza di un padre. Queste cose spengono tutti gli account, rallentano i neuroni e la smania del futile. Certo ci sono le frasi di circostanza, quelle su cui il Vespa o Giletti di turno si diletteranno,  magari questa settimana ci saranno le frasi contrite di Mara Venier e le, tristemente mitiche, espressioni di Barbara D'urso. 











Nonostante tutto le frasi di circostanza, i particolari succulenti per le tv, però non serviranno a far si che un processo inevitabile s'inneschi. Come scrissi quasi tre anni fa (http://sosta-vietata.blogspot.it/2010/10/lo-schiaffo-dellonda.html ), lo schiaffo sarebbe arrivato, e questo sarebbe stato ben più gravoso da sopportare di una guancia indolenzita. Ve ne accorgerete nei prossimi giorni. Il tam tam porterà a due sibillini discorsi, che magari inizialmente si pronunceranno con voce sommessa, e poi sempre più convinta: 
  • questo gesto è quanto meno addebitabile moralmente al vociare grillino; 
  • in fondo in fondo i politici se lo meritano. 
Già fra le parole dei giornalisti schierati il primo dei due messaggi è chiaro, ovvero, in maniera ipocrita e senza scrupoli, giustificare il governo PD-PDL di Roma, come l'unica soluzione al barbaro che avanza, tra battute e sfottò, cioé Grillo. 





Dall'altra parte il sentimento popolare si colorerà di violenza ogni giorno di più, fino a giustificare il sangue dei politici, di qualsiasi rango e livello, e magari anche di chi politico non è ma prende un lauto stipendio pubblico, e poi chissenefrega. La bomba che non doveva scoppiare è in realtà implosa sotto Palazzo Chigi, e le conseguenze sono intangibili ed ahimé incalcolabili. Per fare un attentato di piccole dimensioni, ed il caso della Maratona di Boston ce l'ha ampiamente dimostrato, non servono grandi mezzi, e neppure grandi
capacità a dirla tutta; più che altro grandi e malate ambizioni, condite da perverse convinzioni.




Chi può dirsi salvo dalla rabbia, chi? Un consigliere comunale? Un provveditore? Un primario di un ospedale pubblico che nega un ricovero? Un sindacalista che lucra sui costi di formazione? Nessuno è davvero incolpevole di fronte al montare della rabbia, neppure i privati che magari hanno stili di vita particolarmente agiati e delocalizzano per lucro



Ora magari i toni sono pessimistici, ma io dico che sono più Gramsciani:<< il pessimismo della ragione, l'ottimismo della volontà>>. 

Io spero che tutto ciò, che sembra concreto, non si verifichi, che la rabbia non monti, che nessuna procura della repubblica scovi più mega furti sui fondi regionali, o mega sistemi tangentisti. Ma se succedesse chi sarà in grado di dire con forza <<la violenza è del tutto ingiustificata?>> Non davanti una telecamera naturalmente, ma davanti un caffè od in ufficio, in fabbrica come in famiglia, i luoghi ad ogni modo dove il protocollo e l'etichetta lasciano spazio alla spontaneità ancora prima della sincerità. Sono sempre stato convinto che per mettere un bomba, per fare un attentato ad un rappresentante delle istituzioni, non servano mille uomini, ma dieci e novecentonovanta disposti a girarsi dall'altra parte, io di questi ultimi ne conosco di più. 
Voi?  



Ivano Asaro
Ivano Asaro

mercoledì 24 aprile 2013

"Il corpo di Matteotti" di Italo Arcuri


"Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto" Giacomo Matteotti, discorso alla Camera dei Deputati del 30 Maggio 1924





"Illustre professore… purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la convinzione, ma il dovere oggi mi comanda di stare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna".


E' il 10 maggio 1924 quando Giacomo Matteotti declina l'invito ricevuto da Luigi Lucchini professore universitario a Bologna ad accettare la cattedra universitaria offertagli, ruolo istituzionale che lo avrebbe allontanato dal "fronte antifascista", per lo meno quello delle prime linee; l'invito a riprendere l'impegno scientifico, che se accettato avrebbe di certo salvato Matteotti dai fascisti, fu invece rifiutato e rimandato al mittente.

Questa lettera, già di per sé stimabile nelle parole, deve però essere contestualizzata nella realtà storica per diventare eroica.
La lettera porta data 10 maggio 1924, la prima aggressione fascista ai suoi danni risale al 18 gennaio 1921, quando dopo appena 2 mesi di attività parlamentare, il deputato socialista , recatosi a Ferrara viene a conoscenza per la prima volta della viltà fascista, conoscenza che significò schiaffi ,insulti e sputi.
Imperterrito il deputato Matteotti compie la sua prima denuncia contro le violenze fasciste nell'aula di Montecitorio, riportando, con precisione di dati, nomi , luoghi e date violenze, saccheggi, incendi, minacce e violenze fisiche a danno di donne e bambini.
Giacomo Matteotti

Il 10 marzo compie la sua seconda denuncia contro la violenza delle squadracce, verrà aggredito solo 2 giorni dopo a Rovigo, "dove viene prima rinchiuso, minacciato, insultato, caricato su un camion, sottoposto a ripetute violenze e minacce e rilasciato in piena notte a Lendinara, il parlamentare polesano camminerà per 16 chilometri per essere presente la mattina dopo a Rovigo dove era attesa la sua firma per la proroga del patto agrario". (alcuni fascisti si vantarono di avergli riservato in quella occasione anche violenza carnale).

Ad agosto dello stesso anno scampa fortunosamente alcuni colpi di pistola.

Nel marzo del 1924 subisce nuove aggressioni a Cefalù.

Giacomo Matteotti
Non si piegò al regime ed il 30 Maggio 1924 pronunciò il celebre e fatale discorso alla Camera, nonché l'ultimo.

Il 10 giugno dovette sopportare l'ultima e la più alta sofferenza che gli uomini del duce gli serbarono, rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia , fu ritrovato senza vita il 16 Agosto 1924, mutilato. 

Giacomo Matteotti fu ucciso dai sicari del fascismo "buono", dai sicari di chi "ha fatto anche cose buone", è stato torturato, umiliato, il suo corpo spezzato e privato degli organi genitali, lasciato in una fossa scavata alla meno peggio dove gli animali della selva hanno potuto farne incetta.

Il cane "TRAPANI" che trovò il corpo
Il suo corpo dilaniato, fu simbolo e presagio di un Italia che di li a poco avrebbe fatto la stessa fine.
Quell'Italia che non capì subito ciò con cui aveva e avrebbe avuto a che fare. La borghesia prima di tutti fu responsabile, ha finto di credere che il regime fosse solo un argine al disordine, all'anarchia,  all'inflazione galoppante.Quando i fascisti con questo più che con altri episodi, svelarono la loro vera indole, il Paese era attonito e capì che era ormai troppo tardi.
La Lanci Lambda utilizzata per il vile gesto

Quando si ha a che fare con vite così grandi è difficile trovare un episodio capace di raccontarle, questo però più di altri secondo me ha la capacità di raccontare ciò che più mi ha colpito di Matteotti, il simbolo del coraggio perseverante e irriducibile di chi sa per cosa combatte, il coraggio infinito e invincibile di chi ha esattamente chiaro il percorso e la destinazione.

Italo Arcuri, autore del libro
Una stretta cerchia di eroi ha camminato le strade del mondo, in ognuna delle sue parti, una stretta cerchia di persone è entrata di diritto nella parte dei "buoni della storia", vengono chiamati santi, eroi sovrumani, niente di tutto questo, sono umani, niente di meno e niente di più, sono persone grandi che dimostrano ripetutamente come l'uomo sia fatto di una sostanza molto più nobile di quella che crediamo, di quella che ci fanno credere, la storia di Matteotti racconta di quanto grande sia l'essere umano.
Il coraggio, la bontà, l'intelligenza, l'eroismo, sono caratteristiche proprie , prima di tutto degli esseri umani.

Giacomo Matteotti fu uomo non santo, ma più di altri santi fu alta la sua morte.

Albino Volpi, "la pupilla dei miei occhi", così lo chiamava il duce, sferrò la pugnalata decisiva, l'ultima che l'Italia inflisse ad uno dei suoi figli più grandi, interrogato in istruttoria rivelava che Matteotti morì con un contegno quasi spavaldo :<<ha continuato a gridarci in faccia, fino alla fine assassini! barbari, vigliacchi! Mai ebbe un momento di debolezza per invocare pietà, e mentre noi continuavamo egli ci ripeteva: Ucciderete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai!probabilmente se si fosse umiliato un momento e ci avesse chiesto di salvarlo e avesse riconosciuto l'errore della sua idea , avremo forse non compiuto fino alla fine la nostra operazione. Ma no, fino alla fine, fino a che ha avuto un filo di voce ha gridato. E' morto gridando viva il socialismo.>>
Giacomo Matteotti

Se la pietà e la fantasia, si trasformassero in sdegno, rabbia e ribrezzo allora il corpo di Matteotti diventerebbe questione civile. Faccenda di denuncia politica e sociale.
L'omicidio, passato alla storia come conseguenza "naturale" del discorso del giugno 1924, potrebbe avere risvolti diversi se si considerano alcuni dati, Amerigo Dumini confessa che il movente dell'omicidio fu l'affare Sinclair Oil, la moglie dice che la mattina del suo rapimento Giacomo era diretto in parlamento con importantissimi documenti, il figlio di Matteotti afferma che le scoperte del padre sul caso Sinclair Oil furono il principale movente del suo omicidio, di cui fu complice interessato lo stesso re.

Matteotti scoprì qualcosa, forse qualcosa di più fastidioso del suo ultimo intervento parlamentare.
Perché dunque fu ucciso, da chi? per conto di chi? questo e altro è raccontato dal libro il "corpo di Matteotti", un saggio, una ricostruzione storica che mira prima di tutto a dare dignità ad una figura che vive colpevolmente nelle soffitte della storia.

"Il corpo di Matteotti è prima di tutto una doverosa sfida all'oblio e al silenzio. Una sorta di piccolo balsamo contro la malattia civile che tende a far scomparire qualunque traccia della nostra memoria storica.E' anche una lotta contro noi stessi, perché l'ignoranza non prenda il sopravvento e la perdita di contatto con il passato non diventi una costante della nostra già abulica civiltà".

"E' infine una schietta correzione a quanto espresso in modo prepotente, da Roberto Farinacci, giornalista e gerarca fascista che scrisse :"che fare dunque? continuare a parlare di Matteotti? no perché il popolo italiano ne è nauseato."

Matteotti ci mise la faccia e quella faccia fu sfigurata dal male "dell'indifferenza", <<Il Male della Dimenticanza>> si cura guardando dritto negli occhi la storia del Ventesimo secolo. E leggendola come se fosse oggi, perché se l’amore per la libertà si affievolisce gli orrori che abbiamo alle spalle potrebbero ripetersi oggi.

E dunque "si invece perché il popolo italiano non dimentichi".



Alberto Arcuri
Alberto Arcuri

domenica 14 aprile 2013

L'arroganza al potere a Bologna

Carlo Diana

L'arroganza del Sindaco di Bologna Virginio Merola non ha fine. Sin dalle premesse è apparso chiaro il suo intento di boicottare in qualsiasi maniera il referendum consultivo sull'abolizione del finanziamento pubblico alle scuole dell'infanzia paritarie private. A dicembre pur in un periodo di grave crisi economica decide d'imperio, dopo la presentazione delle firme necessarie da parte del comitato promotore, di non accorparlo alle elezioni politiche del 24-25 Febbraio, nel tentativo di soffocare un pronunciamento di massa preannunciatosi sfavorevole per gli interessi particolaristici che difende. Dall'inizio della campagna elettorale referendaria si spoglia delle funzioni di garante della collettività tutta, nel rispetto del principio di equilibrio istituzionale che il suo ruolo dovrebbe suggerirgli, per parteggiare insieme al PDL ed alla Curia nella fazione che richiede il mantenimento dello status quo, accampando motivazioni palesemente false ed offensive dell'intelligenza generale. Poche ore fa "l'Incontinente", in fatto di esternazioni da raccapriccio, spinto da una concezione della funzione di Sindaco "legibus solutus" di medievale memoria, preannuncia di fatto di voler ignorare l'eventuale esito a favore dell'abolizione, infischiandosene delle conseguenze politiche di un siffatto risultato. 

Invito i cittadini di Bologna ad andare a votare in massa Domenica 26 Maggio dalle ore 8.00 alle ore 22.00 dimostrando ancora una volta l'alto senso civico di una città che non merita tanto sprezzo democratico da parte di chi, tra immobilismo, incompetenza e sempre più smaccante tutela di lobby particolaristiche, è da tempo proteso a mortificare il concetto di "bene comune" ed il senso della partecipazione collettiva quale metodo per migliorare la gestione di un potere che vorrebbero slegato da qualsivoglia controllo pubblico.


Carlo Diana


Carlo Diana

venerdì 12 aprile 2013

Mazara e la lacrimuccia per il boss Agate


“Contro il carattere non ci si può andare”. Gli anziani lo dicono sempre: “Il carattere è carattere!”.
Quante volte ci siamo resi conto che ci sono cose che non riusciamo proprio a non fare: non essere eccessivamente ottimisti, irascibili, ritardatari o magari semplicemente non sapersi tirare indietro in determinati contesti. Tutta colpa del carattere. Le idee, di fronte all'evidenza o a teorie più convincenti, si possono cambiare, il carattere solo mitigare o adattare. Il carattere è una vertebra del nostro agire, una costola della nostra anima, forse la più efficace dimostrazione di una connessione tra spirito e dna. Ma allora, se il carattere è una cosa nostra, innata, può essere il tratto distintivo di un popolo (di questa o quella regione), come lo è il colore dei capelli o degli occhi?


Mariano Agate
La scorsa settimana il mafioso mazarese Mariano Agate è morto. Da boss (si è scritto), senza mai un pentimento e presumibilmente con i rimorsi tutti dentro lo stomaco. Di lui si dirà che è passato a miglior vita, anche se religiosamente parlando, la sua strada non è certo dritta per il paradiso: l’uomo degli omicidi condizionati (o preannunciati) dal carcere, dei summit mafiosi in stile imprenditoriale, ha avuto, tra le altre cose, il disonore di curare la latitanza di Totò Riina nella città del Satiro. Era quel potere muto ed indefinibile, che non si sapeva dove cominciava e, peggio ancora, dove finiva. In una terra di morti e di guerre intestine ha incarnato lo sguardo di Cosa Nostra, quello sguardo che diventa giudizio, che trasforma una Vespa bianca in una Mercedes, un maglione umile in una toga, una pistola in una sentenza. Ecco chi era costui: più temuto di Messina Denaro, affrontava in maniera gradassa i visi degli organi giudicanti. Dal suo arresto tanto è cambiato: Mazara è ancora patria di mafia. Di quella “stupida”, si dirà, dei piccoli avventori che hanno i covi dentro gli uffici delle banche compiacenti, di coloro i quali si nascondono dietro l'assegno post-datato e che non hanno neanche più quella prosopopea dei romanzi di Sciascia. Una mafia in tono minore, in grado solo di aggiungere paradosso al danno concluso dai loro predecessori. Talmente diversa che spunta come al solito la frase (quella che tanto poi arriva sempre, che impedisce di battere Cosa Nostra, che tiene ancora in libertà Messina Denaro): “Una volta si sapeva chi comandava. Uno aveva un problema, andava da loro e lo risolveva, ora invece neanche più un posto di lavoro si riesce a trovare”. Mariano Agate era uno di quelli che rintracciavi non per simpatia, ma per utilità. Era, come tutti i boss precedenti, lo specchio riflesso delle mancanze dello Stato. Alcune domande però sorgono spontanee: 

  • perché nel 2013 la gente (e non solo chi ha tante primavere alle spalle), reclama i tempi che furono? 
  • Perché sembra quasi, che sotto la coltre di buonismo ed ipocrisia, Mazara abbia versato una lacrimuccia per il boss deceduto
  • Forse è quel carattere di cui parlavo prima? Che i siciliani (e nello specifico i mazaresi) abbiano un carattere tendente alla mafia? Che la sentono una cosa loro? 
  • Frasi come quelle dette sopra, i riferimenti ai tempi andati, la nostalgia per i giorni in cui certi nomi non si potevano dire (figuriamoci attaccare), sono il segno che qualcosa di profondo lega la nostra città alla mafia. Ma è davvero frutto di una propensione naturale? E’ davvero questione di carattere se molti concittadini si sono lasciati scappare frasi di apertura verso tale personaggio? 
No, non è solo questo. Anzi non è per niente questo. Io non so se esista un carattere tipico dei popoli, ma comunque non c'entra niente con la schifosa reazione che i mazaresi, nel loro privato, hanno espresso nei riguardi di Mariano Agate. Sia chiaro: non tutti i Mazaresi si sono espressi in toni concilianti, taluni hanno tirato dritto sulla strada della legalità e della libertà di pensiero.

Molti però hanno messo da parte il cervello, il cuore e la morale per lasciare parlare la pancia. Ma non nel senso politico del termine, ma proprio alimentare. Mi spiego. Mazara, per fattori locali ed internazionali, è arrivata già oltre il punto di non ritorno: anche se domattina l'economia, dall'edilizia alla pesca, passando per l'agricoltura e l'artigianato ripartisse, tutto sarebbe drasticamente diverso rispetto a tre o quattro anni fa. Queste persone non possono perdersi in sillogismi aristotelici, non possono stare con la schiena dritta perché non hanno una cultura in grado di sorreggere un pensiero compiuto (la mafia direbbe "beata ignoranza"), e poi ci sono figli da sfamare, affitti e mutui da pagare. Chi rievoca quei tempi, in maniera stupida ed inconsapevole, è pronto a barattare diritti e autonomia in cambio di tranquillità e stabilità (un terreno ideale per chi come Matteo Messina Denaro esercita il suo potere sulla valle del Belice e le coste del trapanese). Certo chi è, seppure in minima parte, a favore della mafia, non va giustificato, MAI
Bisogna capire d’altro canto chi è pronto a mettersi tra le lacrime sotto il giogo di un omicida, chi svende la propria dignità per 50 euro di spesa

Matteo Messina Denaro
Ecco, Mazara è questa. Non per carattere, ma per crisi, dilaniata tra scuole e vie intitolate agli eroi della guerra ai mafiosi, strade piene di pseudo imprenditori che fanno affari loschi ed una politica che già con largo anticipo si preoccupa delle prossime elezioni. Mazara non è più quella del metodo corleonese di Agate e Sinacori. Mazara è semplicemente quella dei pezzi di merda che scimmiottano altri pezzi di merda del passato.





Ivano Asaro

Ivano Asaro

venerdì 5 aprile 2013

“IO NON SONO COMPLICE”

Marta Gancitano

Grazie per la tua voglia di RESISTENZA, non perdere mai la speranza, noi continueremo a credere e a lottare finché la Verità non sarà venuta alla luce e Giustizia non sarà fatta.
Ti aspetto a Palermo per levare in alto insieme a noi la tua Agenda Rossa.”

Sono state queste forse le parole che più mi hanno convinto a non arrendermi, a pensare che niente è davvero perduto, a credere che esistono ancora persone che sacrificherebbero la propria vita per il senso di LIBERTA’, GIUSTIZIA e VERITA’. Salvatore Borsellino ha risposto con queste parole ad una mia mail, inviata quasi per caso dopo aver letto un libro. La curiosità e la voglia di capire cose significasse la parola MAFIA mi ha spinto a documentarmi, a chiedere informazioni ad alcuni giornalisti locali che pazientemente hanno risposto alle mie domande.

A scuola sono state poche le volte in cui si è parlato di mafia e tutte quelle poche volte in cui è stato fatto, l’argomento è stato trattato con superficialità, gli uomini che venivano nominati erano sempre gli stessi: Provenzano, Riina. Vedevo dunque la mafia come qualcosa che non mi appartenesse, come qualcosa che fosse lontana dalla mia città. Solo dopo ho capito che non era così. Tra i tanti nomi dei mafiosi sentiti più e più volte nessuno aveva fatto il suo nome, MARIANO AGATE. Era lui il boss della mia città, era lui l’uomo che intratteneva rapporti diretti con Riina, era lui l’uomo che era stato condannato per la strage di Capaci. Proprio ieri ho appreso la notizia della sua scomparsa, e non posso fare a meno di domandarmi quante saranno quelle persone che lo ringrazieranno per tutti quei favori avuti. Sono stanca di sentire dire che la mafia non esiste più, perché non è vero! Nel momento in cui riceviamo dei favori, nel momento in cui otteniamo qualcosa che non ci spetta per diritto noi siamo COMPLICI! Non è difficile capire che la mafia si è evoluta nel tempo e che evolvendosi ha smesso di uccidere. Perché è così, meno rumore si fa più difficile è essere scoperti.
Chiudo con queste parole pronunciate da Giuseppe Gatì, un ragazzo che in pochi conoscono, un blogger che aveva tanta voglia di fare, ma che purtroppo a causa della sua prematura scomparsa è riuscito solo in parte nell’intento.

E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci.”



Gancitano Marta