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Sergio Basilio |
Messico ’86 nel’immaginario
collettivo assoluto riporta alla memoria due cose soltanto: Maradona
che salta l’intera Inghilterra per siglare il gol più bello del
secolo e l’immagine di Diego che alza la coppa al cielo, vinta
praticamente da solo nel mondiale che lo ha incoronato re.
Ma se a quel termine togliamo il “co”
rimane Messi 86 che da oggi ha un suo significato preciso.
Messi come fenomeno, Messi come
esempio, Messi come spettacolo, come Catalogna, come tecnica, come
fulmine, come potenza, Messi come Maradona, e si, perché
l’accostamento ci sta e da sempre; sembra quasi un progetto
studiato a tavolino ma non lo è: Leo argentino come Diego, mancino,
non dal fisico adatto (soprattutto per il calcio odierno), Messi che
và al barça, che diventa fenomeno, che segna di mano (gol fotocopia
a quello di Maradona) e che (e ciò ancora mette i brividi) firma uno
dei gol più belli di sempre praticamente copiando, se non
migliorando, il gol di Diego all’Inghilterra; certo qui parliamo di
Liga e non di Quarti di finale di Coppa del Mondo, però è la stessa
fascia, lo stesso movimento, lo stesso spirito.
Messi negli ultimi anni è diventato il
simbolo del calcio di oggi, grazie al Barcellona ovviamente ma non è
nitida la sottile linea della risposta alla domanda “ma è il
Barcellona che fa Messi o viceversa?” perché adesso sembra che
anche nella sua unica pecca (la nazionale) il piccolo Leo cominci a
fare magie e segnare valanghe di gol. Forse l’unica differenza tra
lui e Diego è questa, il gol. Diego era più uno che ti nascondeva
la palla, che segnava da posizioni inverosimili, dalle giocate
impossibili, Messi invece prende palla, salta tutti e con prepotenza
segna e segna ancora ed è qui che arriviamo a coniare un nuovo
sinonimo : Messi come Muller, Gerd Muller, l’immenso Muller,
l’inarrivabile Muller.
Il piccolo Muller (centravanti dei
panzer tedeschi vincitori di tutto negli anni ’70) aveva un record
che difficilmente poteva essere abbattuto: 85 gol in un anno solare
(cifra che per quegli anni fa ancora rabbrividire). Messi domenica
sera ha eguagliato e battuto questo record arrivando a quota 86, un
gol meraviglia dopo l’altro magari nell’anno in cui ha vinto meno
può permettersi in bacheca quest’altro trofeo personale. Un
pallone d’oro dopo l’altro e nessuno può lamentarsi, due
Champions in tre anni, record su record di presenze, gol
indimenticabili come quelli al Real di Mou o i poverissimi in
Champions, i quattro rifilati all’Arsenal, tanti gol, finali,
assist e quant’altro. Una volta un giornalista disse “siamo
nell’era Messi anno uno” ed è vero, nell’era dei tablet, del
web 2.0, del tutto facile e subito Messi è l’esempio per
eccellenza, tutto veloce, rapido, perfetto. In un era dove un
calciatore come Cristiano Ronaldo deve accontentarsi di essere
secondo e dove Messi non è più ricordato come l’erede di Maradona
ma come se stesso, ragazzo che ti entra nel cuore, che non puoi
odiare se ami il calcio, esempio impeccabile, mai un comportamento
fuori luogo, campione vero da raccontare a figli e nipoti. Ora manca
solo una cosa, la Coppa tutta d’oro col mondo sopra; perché è
giusto così, perché è scritto così, un giorno Leo prenderà la
sua squadra albiceleste per mano e la porterà fino alla conquista
del mondiale, magari da capitano, magari con un gol stupendo ai
quarti contro l’Inghilterra, come a MESSICO ’86.
Sergio Basilio
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