“Contro il carattere
non ci si può andare”. Gli anziani lo dicono sempre: “Il
carattere è carattere!”.
Quante volte ci siamo
resi conto che ci sono cose che non riusciamo proprio a non fare: non
essere eccessivamente ottimisti, irascibili, ritardatari o magari
semplicemente non sapersi tirare indietro in determinati contesti.
Tutta colpa del carattere. Le idee, di fronte all'evidenza o a teorie
più convincenti, si possono cambiare, il carattere solo mitigare o
adattare. Il carattere è una vertebra del nostro agire, una costola
della nostra anima, forse la più efficace dimostrazione di una
connessione tra spirito e dna. Ma allora, se il carattere è una cosa
nostra, innata, può essere il tratto distintivo di un popolo (di
questa o quella regione), come lo è il colore dei capelli o degli
occhi?
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Mariano Agate |
La scorsa settimana il
mafioso mazarese Mariano Agate è morto. Da boss (si è scritto), senza mai un pentimento e presumibilmente con i rimorsi tutti dentro
lo stomaco. Di lui si dirà che è passato a miglior vita, anche se
religiosamente parlando, la sua strada non è certo dritta per il
paradiso: l’uomo degli omicidi condizionati (o preannunciati) dal
carcere, dei summit mafiosi in stile imprenditoriale, ha avuto, tra
le altre cose, il disonore di curare la latitanza di Totò Riina
nella città del Satiro. Era quel potere muto ed indefinibile, che
non si sapeva dove cominciava e, peggio ancora, dove finiva. In una
terra di morti e di guerre intestine ha incarnato lo sguardo di Cosa
Nostra, quello sguardo che diventa giudizio, che trasforma una Vespa
bianca in una Mercedes, un maglione umile in una toga, una pistola in
una sentenza. Ecco chi era costui: più temuto di Messina Denaro, affrontava in
maniera gradassa i visi degli organi giudicanti. Dal suo arresto
tanto è cambiato: Mazara è ancora patria di mafia. Di quella
“stupida”, si dirà, dei piccoli avventori che hanno i covi
dentro gli uffici delle banche compiacenti, di coloro i quali si
nascondono dietro l'assegno post-datato e che non hanno neanche più
quella prosopopea dei romanzi di Sciascia. Una mafia in tono minore,
in grado solo di aggiungere paradosso al danno concluso dai loro
predecessori. Talmente diversa che spunta come al solito la frase
(quella che tanto poi arriva sempre, che impedisce di battere Cosa
Nostra, che tiene ancora in libertà Messina Denaro): “Una volta si
sapeva chi comandava. Uno aveva un problema, andava da loro e lo
risolveva, ora invece neanche più un posto di lavoro si riesce a
trovare”. Mariano Agate era uno di quelli che rintracciavi non per
simpatia, ma per utilità. Era, come tutti i boss precedenti, lo
specchio riflesso delle mancanze dello Stato. Alcune domande però sorgono spontanee:
- perché nel 2013 la gente (e non solo chi ha tante primavere alle spalle), reclama i tempi che furono?
- Perché sembra quasi, che sotto la coltre di buonismo ed ipocrisia, Mazara abbia versato una lacrimuccia per il boss deceduto?
- Forse è quel carattere di cui parlavo prima? Che i siciliani (e nello specifico i mazaresi) abbiano un carattere tendente alla mafia? Che la sentono una cosa loro?
- Frasi come quelle dette sopra, i riferimenti ai tempi andati, la nostalgia per i giorni in cui certi nomi non si potevano dire (figuriamoci attaccare), sono il segno che qualcosa di profondo lega la nostra città alla mafia. Ma è davvero frutto di una propensione naturale? E’ davvero questione di carattere se molti concittadini si sono lasciati scappare frasi di apertura verso tale personaggio?
Molti però
hanno messo da parte il cervello, il cuore e la morale per lasciare
parlare la pancia. Ma non nel senso politico del termine, ma proprio
alimentare. Mi spiego. Mazara, per fattori locali ed internazionali,
è arrivata già oltre il punto di non ritorno: anche se domattina
l'economia, dall'edilizia alla pesca, passando per l'agricoltura e
l'artigianato ripartisse, tutto sarebbe drasticamente diverso rispetto a tre o quattro anni fa. Queste
persone non possono perdersi in sillogismi aristotelici, non possono
stare con la schiena dritta perché non hanno una cultura in grado di
sorreggere un pensiero compiuto (la mafia direbbe "beata
ignoranza"), e poi ci sono figli da sfamare, affitti e mutui da
pagare. Chi rievoca quei tempi, in maniera stupida ed inconsapevole,
è pronto a barattare diritti e autonomia in cambio di tranquillità
e stabilità (un terreno ideale per chi come Matteo Messina Denaro
esercita il suo potere sulla valle del Belice e le coste del
trapanese). Certo chi è, seppure in minima parte, a favore della
mafia, non va giustificato, MAI.
Bisogna capire d’altro canto chi è
pronto a mettersi tra le lacrime sotto il giogo di un omicida, chi
svende la propria dignità per 50 euro di spesa.
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Matteo Messina Denaro |
Ecco, Mazara è
questa. Non per carattere, ma per crisi, dilaniata tra scuole e vie
intitolate agli eroi della guerra ai mafiosi, strade piene di pseudo
imprenditori che fanno affari loschi ed una politica che già con
largo anticipo si preoccupa delle prossime elezioni. Mazara non è
più quella del metodo corleonese di Agate e Sinacori. Mazara è
semplicemente quella dei pezzi di merda che scimmiottano altri pezzi
di merda del passato.
Ivano Asaro |
Ivano Asaro
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