Ivano Asaro |
Nella conta dei problemi ci si
perde una vita. Le soluzioni, poche, tardano ad arrivare. Che fare?
Vorrei che questa fosse la frase
con cui inaugurare ogni seduta del consiglio dei ministri attuale.
Certo che non sia questa la frase, ne le parole, e purtroppo, ahimè,
neanche lo spirito, tocca agli altri studiare un paio di lenti nuove
attraverso cui scorgere il presente.
Siamo in un'epoca che troppi
definiamo strana. E magari lo è. Ma è strana perché diversa dalle
precedenti, e di conseguenza non troviamo parametri tra ciò che
hanno vissuto i nostri nonni ed i nostri padri, e le nostre attuali
vicende.
Ma quale epoca è infondo uguale a
se stessa?
Quale epoca ripercorre in toto le
circostanze già esitate in passato?
Nessuna, almeno credo.
Certo, fermamente penso che ci
siano i corsi ed i ricorsi storici e sociali. I malcontenti portano
alla ribalta leader carismatici, fu così dopo il 1929, ed è stato
così dopo il 2008, che poi è adesso. Grossi boom economici creano,
zone suburbane degradate, ed è la stessa cosa che avvenne dopo la
seconda rivoluzione industriale, ed accade ora, da Chicago a Bologna.
Ogni volta però il livello è
diverso, ogni volta gli attori si mascherano di modernità, e quei
particolari che cambiano rispetto al passato, sono anche le
particelle di personalità che noi, ed i nostri contemporanei, mettiamo
e riversiamo nella vita di tutti i giorni.
Tutto questo giro, in fondo non
porta a nulla, o forse ad una sola conclusione: bisogna guardare la
vita con i nostri occhi, con quegli stessi occhi che ogni giorno
fanno i conti con la spesa ed il ciglio di una strada, che è sempre
la stessa e sempre diversa da se.
Cerchiamo infondo ai nostri cuori
di riavere presto o tardi i privilegi che furono dei nostri genitori.
Cerchiamo ancora più in fondo, con la nostra coscienza, anche noi,
presto o tardi, di seguire il percorso che fu dei nostri genitori, ed
intanto aspettiamo. Aspettiamo una legge che renda più facile avere
un lavoro a tempo indeterminato, aspettiamo che ci sia un bonus casa
per acquistare l'appartamentino ne in centro ne in periferia.
Aspettiamo, ed intanto la vita passa. Cosa tipica, fin troppo, dei
nostri giorni è quella di adattarci alla nostra epoca, alle
circostanze che la compongono, con i criteri del passato. Cerchiamo
di applicare al presente le regole del passato, e siccome non
riusciamo, allora aspettiamo. Non facciamo figli perché non c'è il
lavoro, non compriamo l'auto perché non c'è una busta paga
sufficiente, non andiamo avanti in sostanza perché non abbiamo le
cose che hanno avuto i nostri genitori, su cui loro hanno basato la
loro vita, e quindi aspettiamo.
So perfettamente, da studente
24enne, che:
<<come lo mantieni un figlio, una famiglia, l'auto senza
sicurezze?>>.
So ancor di più che studiare libroni da centinaia di
pagine è aberrante quando il tormentone più frequente per gli
universitari è:
<<studia, studia, e poi vedi come ti servirà
la laurea per lavorare in call center>>.
Ma questo gioco al
massacro a cosa porta? A niente.
Cerchiamo di vivere secondo i
criteri del passato, ma ci dimentichiamo una delle caratteristiche di
quel passato che tanto agogniamo. Il passato, lontano o vicino, ci
consegna tanti valori, tanti principi e fortunatamente tanti
insegnamenti. Nel passato, ormai remoto per i ragazzi nati nel nuovo
millennio, persone che oggi chiamiamo nonni o bisnonni, hanno vissuto
due guerre mondiali, malattie che oggi noi nemmeno immaginiamo ed
hanno costruito un paese, che ancora oggi, nonostante le scudisciate
che gli assestiamo resiste imperterrito.
I nostri padri hanno creato
quel tessuto produttivo che oggi Confindustria chiama PMI, ovvero
piccole e medie imprese, sfornando quella famosa ricchezza che
faceva il filo all'America e non aveva paura di Francia e Germania.
Non pensiamo, neanche in un secondo che sia stato facile, parlare di
lavoro, di case, di attività commerciali fiorenti, in quel periodo,
perché oltre alla bassa e bassissima scolarizzazione c'era proprio
la mancanza di sostanziale conoscenza di come si creasse una
fabbrica, in una nazione come la nostra che non aveva mai avuto una
vera Rivoluzione Industriale.
Quella che oggi si chiama Pmi una volta
si chiamava sacrificio, dedizione, amore per il lavoro, per la
prosperità, e certo anche per l'arricchimento. Queste epoche, che
sono solo le più vicini temporalmente esemplificazioni di quanto
voglio dirvi, ci dicono che ci si alza anche da due guerre con a
disposizione un asino, l'ardore e la temerarietà. Questi anni ci
insegnano che si può creare benessere esportando sogni in paesi di
cui si disconosce perfino la posizione geografica, avendo a
disposizione un trattore ed olio di gomito.
Oggi abbiamo più di un trattore,
abbiamo termini belli e terminali informatici di ultima generazione,
ma abbiamo sostituito al coraggio una lacrima, anzi una lacrima su
tutto, che poi diventa un vero e proprio piagnisteo.
Cosa voglio dire in soldoni? Che
non ci si deve lamentare, che ognuno deve fare la propria parte, che
tutti devono dare per quello che possono, rimanendo negli ambiti
della legalità ovviamente. I politici che non ci piacciono non li
dobbiamo votare, la macchina che non possiamo mantenere non la
dobbiamo comprare, la pizza che ci strozza il budget mensile non la
dobbiamo ordinare. Scommettere su noi stessi significa capire che
bisogna ripartire innanzitutto da noi, ovvero da quello che siamo,
dalle nostre capacità e competenze. Non dal nostro status, che tra
qualche anno, magari esisterà ancora, ma già adesso conta meno di
nulla. Siamo quello che siamo, ed è per questo che valgono i nostri
sacrifici, gli studi degli universitari, il prodotto
dell'agricoltore, del falegname, del fabbro, del carrozziere. Siamo
quello che siamo se ci leviamo le lacrime dagli occhi ed i tappi
dalle orecchie.
Ma a ciò possiamo arrivarci solo
se però capiamo che, come i nostri nonni, ed i nostri padri, abbiamo
di fronte un mondo che è diverso da quello che abbiamo alle spalle.
Un mondo che non è ingiusto quando ti offre un'occasione di lavoro
al nord, in Germania, od in Cina, è semplicemente così, e possiamo
lottare per cambiarlo solo se prima lo accettiamo.
Ivano Asaro |
Ivano Asaro
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